Beatrice è uno strumento per cercare lavoro: smettete di strumentalizzarla!

Beatrice è uno strumento per cercare lavoro: smettete di strumentalizzarla!

Nelle ultime settimane ho assistito con crescente incredulità alla polemica sorta fra Il fatto quotidiano e il Bollettino Adapt relativamente al ruolo delle piattaforme informatiche per la gestione dell’incrocio fra domanda e offerta di lavoro nei centri per l’impiego (Cpi) e nelle Agenzie per il lavoro (Apl).

L’argomento è sicuramente molto rilevante dal punto di vista politico, dato che sul corretto funzionamento dei Cpi si basa il raggiungimento degli scopi ultimi del Reddito di Cittadinanza, misura altrimenti destinata a rimanere sostanzialmente un sostegno economico temporaneo e passivo.

Trovo altrettanto lecito che ci siano posizioni divergenti relativamente al fatto che una piattaforma dotata di intelligenza artificiale possa sostituire oppure affiancare gli addetti all’intermediazione. In questo senso non discuto le posizioni espresse da Francesco Pastore su Il fatto quotidiano (Centri per l’impiego, il futuro si chiama Beatrice, Politiche del lavoro, in Italia siamo ancora indietro. E per i prossimi passi prevedo un fiasco totale) e da Luigi Oliveri sul Bollettino Adapt (Ricerca del lavoro: lo strumento non può essere sostitutivo del fine).

Trovo assolutamente non accettabile, invece, il fatto che questa polemica sia stata incentrata su Beatrice, il chat bot presente sulla piattaforma Mundamundis, citata più volte negli articoli in questione, ma senza una conoscenza reale del sistema e, soprattutto, con lo scopo strumentale di sostenere tesi politiche che nulla hanno a che vedere con il funzionamento quotidiano della piattaforma Mundamundis e della sua avatar Beatrice.

Se Beatrice fosse una persona reale, probabilmente starebbe considerando un’azione per diffamazione, visto che in entrambi gli articoli si afferma che il robot non può fare o non sa fare determinate cose. Tutto questo senza che sia stata fatta una verifica del suo reale funzionamento iscrivendosi come utente alla piattaforma Mundamundis, che è molto di più del suo chat bot di accoglienza, e senza che nessuno abbia contattato la redazione che la gestisce o anche solo letto l’apposita pagina del sito Mundamundis in cui si spiega in maniera molto chiara quale sia il modello di funzionamento del percorso di intermediazione.

È un po’ come se Pastore e Olivieri, saputo che in città c’è un nuovo ristorante che si è fatto notare per la nouvelle cuisine, abbiano scritto due recensioni antitetiche. Pastore afferma che la nouvelle cuisine è il futuro della ristorazione e che Mundamundis è solo un preludio ai grandi chef che stanno per arrivare (“Italy works” che verrà realizzato da ANPAL). Oliveri, invece, afferma che i piatti di Beatrice alla fin fine sono insipidi e che non si può fare a meno della cucina tradizionale.

Come scrivevo all’inizio, sarebbero entrambe posizioni legittime, se non fosse che entrambi si sono fermati davanti alla porta del ristorante e hanno dato un’occhiata al menu posto sulla vetrata, senza assaggiare nulla e senza neanche entrare per vedere l’ambiente o per parlare con lo chef.

Visto che, in questo caso, lo chef sono io (in quanto proprietario di Exagogica, la società che ha creato e che gestisce Mundamundis, ma soprattutto in quanto progettista di tutte le sue funzioni), mi vedo costretto ad intervenire nella polemica in atto e fornire alcune doverose precisazioni. Inizio con lo spiegare brevemente a chi non ha mai usato i servizi del portale Mundamundis in cosa essi consistono.

Mundamundis è un “sistema esperto” in grado di calcolare la compatibilità prevista fra un candidato ed una qualsiasi offerta di lavoro in base al livello di capacità posseduto dal candidato su ciascuna delle competenze (di base, professionali, linguistiche e trasversali) richieste dalla posizione lavorativa.

Questa funzione fondamentale della piattaforma viene utilizzata per fornire orientamento a chi cerca lavoro (rispondendo idealmente a domande quali “Per quale offerta ho maggiori possibilità di essere assunto?”, “Cosa mi manca per essere scelto per quella posizione?”, ecc.) e per offrire un supporto alla selezione alle aziende che cercano lavoratori (rispondendo invece a domande come “Quale candidato sarebbe il migliore per le mie necessità?”, “Quali competenze fra quelle da me richieste non sono facili da trovare sul mercato?”, “Quali sono le aspettative economiche delle persone che potrebbero svolgere il lavoro che offro?”, ecc.).

La funzione di incrocio alla base del modello Mundamundis nasce da circa nove anni di sperimentazione all’interno di grandi gruppi multinazionali (Exagogica è fornitrice di sistemi di analisi delle competenze e di conformità al ruolo per Fca, Marelli, Ariston Thermo e altri). Quando abbiamo deciso di realizzare uno strumento per supportare l’attività degli attori presenti sul mercato del lavoro abbiamo affrontato una questione fondamentale. Al contrario di quanto può avvenire nelle grandi aziende, dove ci sono dei programmi periodici di valutazione del personale e ci sono risorse dedicate all’analisi dei requisiti delle posizioni professionali, nel mercato generale del lavoro è molto più complesso ottenere le informazioni necessarie a fare correttamente gli incroci. Non bastano assolutamente né il CV del candidato, né la job description che costituisce l’inserzione.

Il valore del sistema Mundamundis sta proprio nell’aver messo concretamente a disposizione un sistema esperto in grado di inferire i livelli di capacità di un candidato su di un gran numero di competenze partendo dai suoi titoli e dalle sue esperienze lavorative, tenendo anche in conto la curva di apprendimento e la curva di decadimento della competenze in base al periodo di esercizio della stessa ed al tempo trascorso da quando esso è terminato. Lo stesso tipo di analisi viene effettuato anche sulle vacancy, ovvero sulle offerte di lavoro inserite a sistema, che vengono analizzate e “spacchettate” automaticamente in requisiti di competenza (mediamente una cinquantina), in modo da poter effettuare i calcoli sopra descritti.

Già da questa sommaria descrizione si può ben comprendere come Mundamundis sia totalmente differente da qualsiasi altro portale di job matching. Quanto affermato da Oliveri nel suo articolo “non si presenta come parecchio diverso, se non per qualche aspetto dell’impostazione delle ricerche, dai moltissimi portali già esistenti”, è dunque falso, poiché, a quanto mi consta, non c’è nessun sistema attualmente in grado di scomporre automaticamente i requisiti di una vacancy in riferimento a oltre 7.000 competenze professionali, superando così la gran parte dei problemi legati ai criteri di profilazione e di espressione delle mansioni nelle job description (a questo riguardo, si legga l’articolo di Palliotta e Lovergine relativamente ai problemi di varianza dei termini usati per descrivere una posizione nelle vacancy: Paliotta A. P., Lovergine S., Web data mining e costruzione di profili professionali).

Ci si può rendere facilmente conto della complessità dell’analisi di compatibilità che è in grado di effettuare Mundamundis guardando l’esempio di una scheda di confronto fra i requisiti di un’offerta di lavoro e le capacità possedute dal candidato. L’esame di questa scheda, inoltre, dimostra come Mundamundis già implementi un modello molto più completo rispetto a quello proposto da Mimmo Parisi quando fa riferimento a Mississippi Works (applicazione alla quale mi sono iscritto come utente registrato proprio per vederne il funzionamento “dal di dentro”), al contrario di quanto affermato da Francesco Pastore quando scrive “È bene evidenziare che al momento “Beatrice” non è in grado di sviluppare a pieno la “profilazione” che intende realizzare il prof. Parisi nel suo nuovo portale, sperando che prima o poi tale portale sia effettivamente realizzato”.

Altro aspetto rilevante del modello di Mundamundis è la capacità di attuare una strategia di acquisizione progressiva di informazioni, cercando di abbattere le barriere di fiducia e di confidenza tecnologica dimostrate dalla maggior parte degli utenti. In questa nostra strategia l’elemento di primo contatto è il chat bot Beatrice, che esegue una profilazione di primo livello funzionale a dimostrare all’utente che è appena arrivato sulla piattaforma la capacità della stessa di presentargli offerte di lavoro reali e potenzialmente compatibili con le sue ricerche.

Le domande poste da Beatrice, quindi, costituiscono solo l’elemento iniziale di una profilazione che proseguirà una volta che l’utente avrà concesso la sua fiducia a Mundamundis e si sarà iscritto al sistema (in caso di mancata iscrizione i dati vengono immediatamente cancellati). La profilazione comprenderà la raccolta non solo di tutti i titoli e di tutte le esperienze lavorative, ma anche l’analisi dettagliata delle competenze linguistiche, la verifica della presenza dei requisiti per gli incentivi attualmente presenti sul mercato del lavoro (es. la NASPI, il Bonus sud, ecc.), l’espressione di attitudini e aspirazioni e attese salariali, la disponibilità alle varie forme contrattuali e ai diversi orari di lavoro, la capacità di spostarsi autonomamente, la disponibilità ai trasferimenti e alle trasferte e l’autovalutazione delle competenze trasversali e dell’attitudine al lavoro di gruppo.

Il sistema Mundamundis attua una precisa strategia di CRM proattivo per acquisire in maniera progressiva questi dati. Una volta che l’utente è iscritto, è il sistema a verificare periodicamente la completezza dei dati inseriti e a suggerire tramite notifiche mail ed SMS di completare man mano le parti mancanti per poter migliorare la propria appetibilità riguardo specifiche offerte di lavoro. Per farsi un’idea del modo in cui Mundamundis guida man mano i candidati ad attivarsi e a farsi profilare, è sufficiente vedere una descrizione dell’ambiente a disposizione dell’utente registrato, in cui indicatori e avvisi personalizzati danno chiare indicazioni sulla strategia per aumentare le possibilità di trovare lavoro e sulle informazioni mancanti per completare il proprio profilo.

Ha quindi involontariamente ragione Oliveri quando afferma che “L’avatar Beatrice altro non è se non un modo accattivante per semplificare la ricerca, da parte degli utenti […] perché il set di domande che pone l’avatar nel caso si provi a cercare lavoro è troppo, troppo, semplificato”. Beatrice, come già affermato, non è nient’altro che una “addetta alla reception” di Mundamundis. Le sue domande semplici e l’immediato riscontro che fornisce servono a convincere l’utente ad entrare nella piattaforma e ad iscriversi. Ha torto, però, Oliveri quando subito dopo, relativamente al nostro sistema, esclude “che possa, però, sostituire un curriculum”.

Questa, invece, è proprio una delle funzioni più utili di Mundamundis, pensata appositamente a sostegno degli utenti che hanno minore dimestichezza con gli strumenti informatici. Mundamundis, già con le informazioni raccolte da Beatrice e con quelle obbligatorie che vengono inserite al momento dell’iscrizione, è in grado di creare “al volo” il CV in formato europeo per l’utente iscritto. Il CV, così come una versione accattivante del proprio profilo, possono essere scaricati dall’utente e utilizzati nei contatti per le proprie ricerche personali, sia tramite mail che attraverso i social (il profilo, previa specifica autorizzazione, può essere socializzato attraverso un semplice click).

L’approccio utilizzato in Mundamundis, quindi, è rivolto in primis proprio a quella parte di popolazione che non è in grado di cercare da sola nuova occupazione con successo e ha maggiormente bisogno di servizi di intermediazione. Quando Oliveri scrive “Questo rilevantissimo numero di persone, intorno al 25% circa della popolazione che cerca lavoro, se davvero si rinunciasse a servizi di mediazione fatti da persone, sostituiti da un cartonato e/o da avatar vari, resterebbe irrimediabilmente nel proprio isolamento” da una parte individua lo stesso problema che ci ha spinti a creare Mundamundis, dall’altra attribuisce al nostro sistema di intelligenza artificiale (l’avatar a cui fa riferimento è, appunto, Beatrice) una finalità che non abbiamo mai voluto conferirle e che non riteniamo le sia propria.

Come già detto, infatti, Beatrice è una “butta dentro”. Dietro di lei ci sono non solo gli altri servizi di profilazione della piattaforma, ma soprattutto la presenza di una redazione fatta da operatori specializzati senza la quale il sistema tecnologico sarebbe sostanzialmente inutile.

Se si visita il sito della nostra piattaforma, ci si potrà imbattere in numerosi articoli della sezione “Dicono di noi” in cui vengono riportate le interviste reali a datori di lavoro e neo-occupati entusiasti del servizio ricevuto da Mundamundis. Leggendole, si scoprirà presto che presentano tutte due elementi comuni. Il primo è che sia i lavoratori che le imprese raccontano della loro iniziale sfiducia, risolta solo dopo la sperimentazione del sistema. Il secondo è che entrambi raccontano anche di come la redazione di Mundamundis si sia dimostrata sollecita e professionale.

Qual è allora il punto di forza di Mundamundis? La tecnologia o il personale che effettua l’intermediazione?

La risposta è semplice. Entrambi, poiché il personale che si occupa di sollecitare e verificare i dati inseriti da imprese e candidati può svolgere in maniera efficace il proprio lavoro proprio grazie alle funzionalità offerta dall’intelligenza artificiale della piattaforma.

Il modello impiegato da Mundamundis per promuovere il placement delle risorse si basa, infatti, su cinque distinte fasi:

  1. La prima fase è quella dello spidering, ovvero della ricerca automatizzata delle offerte di lavoro attraverso web-crawler in grado di intercettare le inserzioni sui siti specializzati e di analizzarle per comprendere competenze e requisiti ricercati.
  2. La seconda è la fase dell’attraction, ovvero il momento in cui vengono intercettati i futuri candidati tramite un’azione sia organica che di advertising sui social media (Facebook e Instagram).
  3. La terza è la fase della permission, ovvero l’acquisizione dell’utente e l’acquisizione del permesso a trattare i suoi dati. In questa fase viene svolta la prima profilazione al fine di dare risposte immediate per acquisire la fiducia dell’interlocutore.
  4. La quarta fase è quella del profiling, la profilazione vera e propria, che avviene per step attraverso solleciti inviati per notifica, in particolare in occasione degli abbinamenti fra risorsa e offerta che possono essere promossi da entrambi gli attori e anche dagli addetti al servizio di intermediazione.
  5. La quinta fase è quella della selection, ovvero della verifica e della calibrazione dei dati, che viene svolta necessariamente dal personale dell’APL e che prevede l’esecuzione di un test online sulle soft skills (test DReCT) e un colloquio attitudinale. Questa fase è quella che consente di produrre all’azienda richiedente la scheda di analisi comparativa della compatibilità di un candidato, già citata in precedenza, nella quale sono presenti non solo le inferenze fatte dal sistema di intelligenza artificiale, ma anche le calibrazioni effettuate dall’addetto all’intermediazione.

È evidente come la critica mossa da Oliveri a Mundamundis, accusata di operare “Al netto della totale assenza di domande tali da verificare il corretto orientamento al lavoro da parte dell’utente” faccia riferimento ad una conoscenza dello strumento che si ferma alla fase della permission, ovvero all’intervista effettuata dal chat bot Beatrice allo scopo di acquisire l’interesse dell’utente e convincerlo ad iscriversi.

Perché Oliveri, allora, si è sbilanciato così tanto su una piattaforma complessa di cui dimostra di conoscere solamente gli strumenti di primo contatto?

L’opinione espressa da Oliveri sul Bollettino Adapt risente a mio parere dell’intento di confutare quanto affermato da Pastore su Il fatto quotidiano, ovvero che “Analogamente a quanto fatto nel progetto Mississippi Works, Beatrice funzionerà come una sorta di “Tinder” del lavoro: infatti, metterà direttamente in contatto imprese e lavoratori senza la necessità di terze parti”.

Purtroppo anche quanto affermato da Pastore non corrisponde a verità. Mundamundis e Beatrice non hanno assolutamente lo scopo di superare l’intermediazione. Anzi. Sono nate come strumento di supporto alle APL private per l’attuazione delle politiche attive del lavoro (l’idea del portale è nata attraverso il rapporto di Exagogica con le APL di CNA Abruzzo). Sono quindi quanto di più lontano si possa immaginare dall’idea di homerecruiting giustamente esecrata da Oliveri.

Nonostante le inesattezze da lui riportate riguardo la nostra piattaforma, paradossalmente mi trovo a concordare con Oliveri sulla visione politica della funzione di intermediazione del lavoro, che necessita dell’intervento umano per almeno due motivi fondamentali: la verifica della congruità delle informazioni raccolte e il superamento del pregiudizio che deriverebbe da un’analisi esclusivamente quantitativa dei dati raccolti.

Se ci affidassimo esclusivamente a degli algoritmi, affinati finché si vuole dal machine learning e dal lavoro di noi specialisti, avremmo infatti il rischio di finire in uno scenario degno di Minority Report, in cui le persone verrebbero giudicate per quello che il loro passato consente di predire che facciano o che diventino.

Altro aspetto su cui non posso che concordare è l’individuazione dell’anello debole della catena. Oliveri scrive, infatti, che “Qualsiasi portale, pubblico o privato, può davvero creare un auspicabile mercato virtuale […] solo a condizione che vi sia caricata tutta la domanda di lavoro, che invece irrimediabilmente sfugge, perché non si è mai reperito un sistema per incentivare le imprese a manifestare pubblicamente la loro domanda”.

Ecco, questo è esattamente il punto e alcuni mesi di esperienza di Mundamundis non possono che confermarlo. Se ottenere la fiducia di chi è in cerca di un lavoro non è semplice, ottenere la fiducia dell’impresa che cerca un lavoratore è infinitamente più difficile. Anche in questo caso le strategie sono però obbligate. Bisogna lavorare sulla qualità del servizio di selezione, sulla trasparenza delle regole di presentazione dei candidati e sul sostegno della reputazione di questo meccanismo sugli strumenti social. Tutto questo, inoltre, non può prescindere, almeno all’inizio, da una forte politica di incentivo per le imprese all’utilizzo dei servizi pubblici di intermediazione.

Mi si permetta un’ultima considerazione. Ho puntualizzato gli aspetti oggetto di questo articolo non tanto per orgoglio di “padre ferito”, ma per spirito di servizio. Ritengo che il tema dell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro sia il tema centrale nell’orientamento delle politiche di sviluppo sociale ed economico di un Paese, come il nostro, in evidente declino ed in crisi di identità.

Il tema dell’uso dell’intelligenza artificiale e degli strumenti digitali in questo ambito è particolarmente delicato, poiché coniuga necessariamente un’idea del modello di servizio che dovrebbe essere implementato con le opportunità e i vincoli dati dall’attuale livello della tecnologia.

Questo tema, in particolare, non può continuare ad essere appannaggio esclusivo dei giuslavoristi. La polemica in cui sono entrato, con la sua strumentalità, dimostra quanto sia pericoloso discutere aspetti tecnologici da un punto di vista ideologico, senza informazioni e competenze per comprendere la complessità operativa, ma anche i vantaggi gestionali che i moderni sistemi informativi possono fornire.

Per questo, auspico che il dibattito si allarghi anche agli esperti di intelligenza artificiale e di sistemi informativi distribuiti, perdendo la connotazione partigiana che ha assunto, specialmente in conseguenza della riforma dell’ANPAL e degli annunci relativi all’adozione del modello Mississippi Works in Italia.